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Dove sta andando la Chiesa?

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2008 19:27
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Registrato il: 28/11/2008
28/11/2008 19:20

Di sicuro, al di là di molte ambiguità dei testi conciliari, c’è stato un problema di applicazione, ciò che però sfugge di mano è la storia concreta del Concilio e dell'immediato post-concilio.

Innanzitutto va detto che il Concilio non fu un fungo che spuntò chissà da dove: esso è figlio della Chiesa di quel tempo, delle aspettative e del contesto storico di quegli anni.
L'esigenza della celebrazione di un Concilio era già avvertita nella Chiesa, di fatto si era da tempo creata una vera e propria sclerotizzazione tra la Chiesa ed il laicato, il messaggio cristiano stentava a farsi intendere nella sua pienezza dall'uomo moderno, la crisi di vocazioni e di presenza di laici alla Santa Messa - se è per questo - aveva mostrato i suoi primi segni sin dal pontificato di Pio XII.

Lo stesso Pio XI - al riguardo - era intenzionato a convocare un Concilio, ma ne fu sconsigliato dai suoi cardinali, i quali gli fecero notare la presenza all'interno dell'episcopato di una forte corrente progressista (modernista) che avrebbe potuto creare non pochi problemi ad un Concilio.

Quanto detto serve a sgombrare il campo dall'equivoco, spesso caro all'area tradizionalista, che la Chiesa andasse bene così com'era e non avesse assolutamente bisogno di un Concilio...

Tuttavia, nel 1962 quando Giovanni XXIII convocò il Concilio Vaticano II, s'impose un'euforia tutta particolare, ci si attendeva una nuova primavera, una nuova pentecoste, nonostante - come fatto notare dallo stesso cardinal Biffi - un'attenta lettura dei segni dei tempi avrebbe dovuto ispirare tutto fuorchè ottimismo, ma tant'è... Se a questo poi aggiungiamo l'assolutamente colpevole - come ebbe a riconoscere anche Giovanni Paolo II - silenzio sul comunismo, il minimo che si possa dire è che vi fu da parte di molti padri conciliari una bella miopia!

Il suddetto ottimismo di fondo generò, in ogni caso, dei documenti (non dimentichiamolo pastorali!) pregni di notevoli e generose aperture verso il mondo, di fatto rivelatesi - con un senno che sarebbe stato meglio avere prima che dopo... - un tantino imprudenti. Il primo a coglierlo fu nientemeno che Paolo VI, il quale riconobbe che in luogo della primavera che ci si attendeva giunse un gelido inverno. Anzi, disse espressamente che un giorno forse sarebbe prevalso un pensiero nuovo, ma che esso non sarebbe mai stata la voce vera della Chiesa.

Sia leggendo i decreti pastorali del Concilio, sia studiando gli atti e gli scontri avvenuti nelle relative sessioni, non può negarsi che quelle preoccupazioni manifestate dai cardinali di Pio XI erano fondatissime; effettivamente prevalse all'interno del Concilio una forte spinta progressista, a ben vedere i decreti che ne uscirono altro non sono che un compromesso, un faticoso equilibrio tra l'ala tradizionale e quella innovativa.

Da quel momento in poi - come ogni cosa - tutto sarebbe dipeso dall'uso che degli stessi si fosse fatto, ed il minimo che ci si potesse attendere era che si rispettase il faticoso equilibrio concordato.

Invece, se c'è una cosa che è stata gestita in modo assolutamente disastroso è proprio il post-concilio... Nonostante le tantissime denunce di uomini come il Card. Siri, che sostenevano con vigore la necessità di una lettura in ginocchio, ossia quella che probabilmente oggi chiameremmo un'ermeneutica della continuità, non è questa ermeneutica, questa lettura - anche per le obiettive desistenze ed omissioni della Santa Sede - ad essere prevalsa...

Prova ne sia la stessa riforma liturgica, avvenuta ben oltre la linea della continuità, ed anzi in piena rottura - a ben vedere - con lo stesso Concilio, assolutamente oltre l'actuosa partecipatio voluta dalla Sacrosantum Concilium.

Infatti, ferma restando la validità consacratoria del NOM, molto ci sarebbe da scrivere sull'iniquità di quella riforma, che non solo viola la Sacrosantum Concilium, bensì la Mediator Dei di Pio XII, nonchè - cosa che fa più tristezza - il canone 9, sulla messa cattolica, del Concilio di Trento, il quale così dispone:

Se qualcuno dirà che il rito della chiesa romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da condannarsi; o che la Messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell'offrire il calice l'acqua non deve essere mischiata col vino, perché ciò sarebbe contro l'istituzione di Cristo: sia anatema

Con il NOM - in nome dello "spirito (protestante?) del concilio" - si sono fatte esattamente le medesime cose fatte nell'Inghilterra del XVI sec. per contrastare una certa contaminazione protestante dei fedeli, la storia ne aveva già mostrato l'inefficacia, eppure...
La cosa comica - se così si può dire - è quella che da nessuna parte vi era scritto di girare gli altari, di togliere da lì la croce, di vietare la comunione in ginocchio, di rimuovere le balaustre, da nessuna, ma tutto si è fatto e tutto si è permesso.

Nel praticare l'ecumenismo ci si è spinti molto ma molto oltre il "sano ecumenismo", si sono fatte le medesime identiche cose già condannate dai papi del passato, condannate non per fanatismo ma perchè - dicevano - avrebbero seminato nel cuore del clero e dei laici l'indifferentismo religioso ed il modernismo... vogliamo darGli torto?

C'è da stupirsi se in questo bailamme uomini come Lefebvre hanno intuito che era meglio porre in salvo l'antico piuttosto che fidarsi del nuovo (il NOM in primis) propinato e spacciato per buono? C'è da stupirsi se l'amarezza generata dal dominio modernista nella Chiesa ha spinto altri a perdere la fede, sia allontanandosi da essa che - addirittura - rifiutandosi di riconoscere il Papa?

Ora la Chiesa è in una crisi spaventosa, è inutile che ci prendiamo in giro. A quelli che sono gli effetti negativi - che comunque si sarebbero fatti sentire - di una progressiva secolarizzazione, si sono aggiunti oltre quarant'anni di tempesta progressista e modernista in nome dello "spirito" del Concilio.

Rispetto a questa crisi Il nostro Papa sostiene che occorre tornare all'essenziale del Concilio e non applicarlo più in rottura col passato e molto sta facendo in questa direzione.

Non neghiamo che abbia ragione, ma - umilmente - ci permettiamo di muovere la seguente piccola critica. I documenti del CVII li dobbiamo vedere per quello che sono, ossia atti pastorali non dogmatici; pertanto è bene avere anche il coraggio di rivedere dove essi possano essere inadeguati rispetto a quello che ormai è un tempo post-moderno, disilluso, non più ottimista sul contatto col mondo, ma realista sul fatto che l'unica vera risposta alle esigenze del cuore dell'uomo sono già dentro le mura della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, e che tutte le filosofie e le ideologie - che pure al tempo del Concilio mostravano il loro fascino - hanno miseramente fallito. Occorre avere il coraggio di porre mano a certi documenti del Concilio e chiarirne la portata definitiva per smorzarne ogni più piccola intrinseca spinta modernista. Occorre che la continuità con la Tradizione emerga già nel testo in sé, non più solo nell'interpretazione...
[Modificato da neshama. 28/11/2008 19:27]
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